L’ospite della quarta puntata di questa seconda stagione è una giornalista che inseguiamo da tanto tempo e che finalmente siamo riusciti ad intervistare. Si tratta di Francesca Mannocchi, che è anche una reporter, regista e scrittrice freelance specializzata in migrazioni e conflitti nell’area del Mediterraneo. Dopo la laurea in Storia del cinema e anni lavorando all’interno di una redazione, decide di diventare freelance.

Nel corso del tempo arriva a collaborare con diverse testate italiane come L’Espresso, Internazionale, Rai3, SkyTg24, La7 e altre internazionali come Al Jazeera English, The Guardian e The Observer. Ha realizzato reportage in Siria, Iraq, Palestina, Libia, Libano, Afghanistan, Egitto, Turchia. Ha vinto numerosi premi come giornalista d’inchiesta e nel 2018 il suo documentario, diretto con il fotografo Alessio Romenzi, è stato presentato al Festival Internazionale del Cinema di Venezia. I suoi ultimi libri sono Libia, con Gianluca Costantini e Porti ciascuno la sua colpa. Il 2 febbraio 2021 è uscito per Einaudi il libro Bianco è il colore del Danno.

La formazione e l’esperienza in redazione

La prima parte dell’intervista è dedicata alla formazione di Francesca Mannocchi e alle prime esperienze nel mondo del giornalismo. Il lavoro in redazione è visto come esperienza fondamentale per sviluppare certe competenze alle quali va aggiunto anche lo studio delle lingue straniere. Ci racconta del suo rapporto con l’arabo e dell’importanza di sapere la lingua dei paesi che si vuole raccontare.

I reportage e le collaborazioni

Francesca Mannocchi ci parla poi dello sviluppo dei suoi reportage e del suo rapporto con il racconto. Ci spiega l’importanza delle domande nelle interviste e di come si muove nelle zone di conflitto, tramite figure di supporto come gli intermediari e i fixer. Quest’ultimi per lei sono figure importanti che ascolta con fiducia. Abbiamo approfondito anche la fase successiva dei reportage, il ritorno a casa, un momento di riflessione e di interrogativi.

La complessità del racconto giornalistico

In questa intervista c’è stato anche lo spazio per riflessioni riguardo a come la vita privata influenzi il lavoro del giornalista. A questo proposito la pandemia diventa un pretesto per riflettere sullo spazio dedicato al racconto del nostro paese; ma anche di come questo racconto sia ricco di spunti e di sfumature se non viene polarizzato come si tende a fare in molte occasioni.

Domande fuori onda

Abbiamo chiesto a Francesca Mannocchi di svelarci alcuni segreti del mestiere in cinque domande fuori onda.

  1. I tuoi libri di ispirazione a livello giornalistico?
    «Tutti i libri della Svetlana Aleksievič perché riassume il modo di guardare il mondo, Il ritorno di Hisham Matar che tiene insieme una vicenda biografica con la storia. Per chi vuole fare il nostro lavoro consiglierei anche di recuperare l’opera di Alessandro Leogrande».
  2. Libri che stai leggendo ultimamente e che ti stanno piacendo tanto?
    «Sto leggendo l’autobiografia di Gianni Berengo Gardin, appena uscita per Contrasto. Quest’estate ho riletto tutta l’opera di Annie Ernaux.
  3. Gadget tecnologico da cui non puoi separarti?
    «In verità no, sto cercando di prendere una distanza dalle cose tecnologiche».
  4. App che usi per lavoro?
    «Devo essere onesta no, tendo ad essere tragicamente novecentesca (ride)».
  5. Podcast o newsletter che leggi spesso?
    «Per i podcast continuo a consigliare tantissimo l’ascolto di Veleno di Pablo Trincia, ascolto in ritardo le puntate di Tre Soldi di Radio3, le biografie musicali sempre di Radio3. Questi mesi pandemici mi hanno dato il tempo di ascoltare conferenze che normalmente non riuscivo ad ascoltare, podcast di filosofia, interviste a scrittori, e questo mi ha fatto riflettere sulla scrittura del podcast.»

Dove trovare Francesca Mannocchi

Sul suo InstagramFacebook e Twitter.

Altri link citati nell’intervista


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