Come proporre un articolo raddoppia. Abbiamo chiesto a otto giovani giornalisti freelance di raccontarci la loro esperienza quando hanno tra le mani una storia o un’idea per la testa, la voglia di pubblicarla e si trovano a dover decidere sul da farsi. A chi proporre il pezzo? E come? Come diventare giornalista freelance (e pubblicare un articolo) su una rivista parla proprio di questo. Fare un mestiere creativo autonomo significa godere di maggiore flessibilità, ma da questo deriva la necessità di farsi carico dell’incertezza che comporta essere i principali responsabili delle vostre scelte. Detterete i vostri ritmi di lavoro, ne deciderete l’organizzazione e, soprattutto, dovrete gestire i conti.

Serve prendersi queste responsabilità, nonostante la paura più che legittima, poiché è altrettanto vero che avviare una carriera come giornalista freelance sia tutt’altro che semplice. Ci sono fattori esterni capaci di giocare un ruolo cruciale nel determinare un percorso di successo o meno. In un contesto simile armarsi di buona volontà e pazienza è tutto, o quasi.

Perché?

Come pubblicare un articolo su una rivista è il contrappeso che serviva alla precedente guida, ‘Come proporre un articolo‘, nella quale abbiamo chiesto il parere direttamente alle redazioni di diverse testate. Volevamo capire da loro quale tipo di proposta ne cattura l’attenzione in mezzo a decine, se non centinaia, in arrivo ogni giorno. Fin da subito però ho sentito l’esigenza di raccontare il punto di vista di chi sta dall’altra parte: i giornalisti.

Certo, il timore di proporre un doppione mi ha accompagnata durante la fase iniziale dei lavori – diversi buoni consigli si somigliano – ma le risposte arrivate man mano mi hanno aiutata a illuminare aspetti che erano rimasti poco approfonditi nel precedente lavoro sul normale percorso del giornalista freelance, come il tema dei pagamenti, ma non solo.

Questo è un articolo piuttosto lungo. Per orientarti meglio tra le sezioni e farti un’idea dei contenuti, ecco un indice per iniziare a leggere subito quelli che ti interessano di più.

I giornalisti intervistati: conosciamoli meglio

Non sarei stata in grado di scrivere questa guida senza la generosità e disponibilità dei giornalisti intervistati. In ordine alfabetico sono: Alia Alex Čizmić, Gianluca Dotti, Gianluca Lo Nostro, Cristiana Mastronicola, Alice Oliveri, Alessio Perrone, Arianna Poletti e Angelo Zinna. Ho chiesto loro innanzitutto di presentarsi, di raccontarmi il percorso fatto per arrivare dove sono oggi. Ogni storia quando si tratta di giornalisti è unica e riassumerne i passaggi ne ridurrebbe la complessità. La vita del giornalista freelance non consiste solo nel proporre il proprio lavoro alle redazioni.

Fra coloro che hanno contribuito ci sono laureati che vengono dai più svariati corsi di studio o hanno un master alle spalle. Alcuni scrivono solo per il mercato italiano, altri rivolgono i loro sforzi soprattutto all’estero. C’è chi è all’inizio e vive oggi le difficoltà che comporta essere freelance e chi ha già raggiunto tappe importanti. Potrei andare avanti all’infinito, elencando fino alle più piccole sfumature e le contrapposizioni emerse.

Eppure, nonostante non potrebbero essere più diversi l’uno dall’altro, pur facendo lo stesso lavoro, quasi tutti sono arrivati a darsi le stesse risposte e soluzioni. Non sempre sono vincenti, ma sembrano essere le uniche a funzionare sul lungo periodo. Serve anche avere un pizzico di fortuna: in questo si somigliano tutti. Troverete i dettagli del loro esperienza in fondo alla guida con i riferimenti esterni al lavoro svolto fino a ora.

I fondamentali, un’altra volta, per diventare giornalista freelance

Nella precedente guida avevamo chiarito quali competenze siano indispensabili: scrivere bene, specializzarsi in un argomento, possedere le competenze informatiche di base. Così come avevamo posto l’accento sul fatto che non esiste il corso di laurea giusto capace di aprire ogni porta. Non lo ripeteremo mai abbastanza. Uno dei nostri obiettivi è senz’altro quello di colmare lacune evidenti sul mondo del lavoro. Per riuscirci è utile sgomberare il campo da altrettanto vistosi fraintendimenti che interessano soprattutto le professioni creative autonome.

Tutti gli intervistati hanno saputo fare ordine in percorsi spesso frammentari, mettendo insieme i pezzi in modo coerente e riuscendo a raccontare la loro storia valorizzandone i punti di forza. Tra questi c’è spesso la capacità di rivolgersi a una nicchia precisa, grazie alla conoscenza e all’esperienza acquisita in un particolare campo. Specializzarsi dipende soprattutto da quanto tempo dedicherete ad approfondire gli argomenti che vorreste trattare, per questo mi sento di dire che il pezzo di carta non basta. Non sarà un singolo esame di storia contemporanea a darvi tutti gli strumenti e le nozioni necessarie per parlare con disinvoltura di geopolitica, per fare un esempio.

Titolo di studio dei giornalisti AGCOM

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Come si diventa giornalisti freelance: il primo pitch

Per cominciare ho chiesto agli intervistati di fare un salto indietro nel tempo per raccontarmi del loro primo pitch andato a buon fine. L’ho fatto un po’ per rompere il ghiaccio, ma soprattutto perché desideravo capire insieme a loro cosa avesse fatto la differenza rispetto ai pezzi rifiutati fino a poco prima.

Cosa offri?

Prima di cominciare serve fare chiarezza su un punto: non esistono trucchi. In particolare Dotti mi ha raccontato di essersi presentato ammettendo con sincerità la sua inesperienza, ma la sua storia piacque e venne accettata. Una storia che funziona è fatta di sostanza, oltre che da un taglio originale, un tema attuale. Proporre aria fritta non vi porterà a nulla. Offrire un lavoro originale, interessante e completo, invece, forse sì.

Per riuscirci serve provare a rispondere a tutte le eventuali necessità della testata. Ecco un esempio pratico: se scrivete di un posto lontano nel quale siete stati, allegare qualche foto alla proposta le darà subito un valore aggiunto. Oltre a dimostrare che ci siete stati davvero. È stato così per Zinna, il quale ha individuato proprio nella fotografia il plus capace allora di fare la differenza. Del resto, scrivendo di viaggi: «La parte visuale è molto importante per questo genere di riviste e fornire un “pacchetto completo” aiuta sicuramente ad attirare l’attenzione». Leggendo le storie di tutti posso dirlo: la sostanza non è mai mancata. Questa è la ragione principale della buona riuscita delle loro proposte fin dal principio, ma c’è un’altra cosa che quasi tutti hanno avuto in comune.

Essere al posto giusto nel momento giusto

Essere nel posto giusto al momento giusto può essere questione di fortuna, come è successo a Poletti durante un viaggio in Palestina. Un giorno si trovava in un caffè seduta accanto alla famiglia di cui poi ha raccontato la storia in un reportage. In quel periodo frequentava anche un master in giornalismo, quando ricevette per la sua proposta «[…] una risposta positiva dal sito inglese Middle East Eye». Il reportage raccontava di «[…] una famiglia di rifugiati che ha deciso di aprire un Airbnb in un campo profughi». La famiglia in questione era proprio quella del tavolo accanto. Ha aggiunto «Rileggendo quel pitch oggi cambierei quasi tutto perché lo trovo molto ingenuo, però ha funzionato proprio perché quella storia – che mi è capitata sotto mano per puro caso (…) – non l’aveva scritta nessun altro».

Il posto giusto al momento giusto lo si può anche raggiungere, proprio come ha fatto Čizmić, andando alla presentazione di un libro di Massimiliano Castellani, caporedattore dello sport di Avvenire. Mi ha raccontato di avergli mandato una serie di mail prima senza ricevere risposta, ma non si è scoraggiato. Quello che è successo dopo e ciò che gli ha insegnato è uno dei consigli più significativi che leggerete in questa guida. «Lo fermai dopo la presentazione e con una battuta gli dissi che aveva ignorato le mie mail. Si mostrò sorpreso, mi chiese scusa e mi offrì di proporgli una serie di articoli perché voleva allargare il bacino di freelance che collaborano con Avvenire». Ha infine confidato: «Sono legato a questo pitch, se così possiamo definirlo, perché credo che racchiuda tutte le azioni che dovrebbe compiere un freelance per farsi largo nel mondo del giornalismo: muoversi (di casa), mostrarsi, buttarsi e chiedere». Non potrei essere più d’accordo.

Approfondimento 1. Come presentarsi se sei giornalista freelance e raccontare il tuo lavoro

Tutti i trucchi del mondo non cambieranno la necessità di entrare nel giro facendosi conoscere. Per Poletti «è (…) molto difficile, specialmente all’inizio, quando chi hai di fronte non ti conosce né ha mai sentito il tuo nome». Avevamo già affrontato il grande scoglio della presentazione nella prima guida, ma, anche lei, ribadisce: «Una volta che si stringe un rapporto con una redazione e che il tuo nome comincia a circolare è più semplice»

Presentarsi è utile quando ci si rivolge a una nuova realtà, sempre tenendo a mente di concentrare il tutto in poche righe. La presentazione deve essere la fotografia di voi in quel momento a livello professionale. Non vi passi per la testa di allegare curriculum – men che meno in formato europeo – scrivere con che voto siete usciti alla maturità o che altro. Zinna ha generosamente allegato un esempio per non lasciare spazio a equivoci (ed evitare di provocare sbadigli in chi vi legge):

Mi chiamo Angelo Zinna e sono un giornalista freelance con base a Amsterdam. Nel mio lavoro mi occupo principalmente di viaggi, fotografia, architettura e curiosità culturali dello spazio post-sovietico. In passato ho avuto l’opportunità di collaborare con Lonely Planet, Are We Europe, GUP, Matador Network, oltre ad aver partecipato a eventi come TEDx e il Festival della Letteratura di Viaggio di Roma. Vincitore di un NATJA Award e co-autore del podcast Cemento, sono autore del libro Un Altro Bicchiere di Arak (Villaggio Maori Edizioni, 2016).

Mettere i link in uscita ai vostri lavori per ogni testata elencata e avrete allegato tutte le informazioni necessarie agli editor per capire se siete le persone giuste a cui commissionare il lavoro.

La ricerca della testata dove pubblicare il tuo primo pezzo come giornalista freelance

La ricerca delle testate alle quali inviare le proprie proposte sembrerebbe la parte più semplice del lavoro, ma non è così. È una fase fatta per lo più di analisi e organizzazione. Per cominciare, tutti i giornalisti intervistati partono da riviste che si rivolgono alla loro stessa nicchia e di cui, spesso, sono i primi lettori. Čizmić aggiunge «Invio le mie proposte a testate con cui condivido valori e visione politica o che non sono distanti dal mio modo di intendere la vita. Testate che rispettano i loro lettori e il lavoro altrui». È indispensabile infatti sentire una o una buona affinità o comunque conoscere bene la redazione alla quale ci si rivolge e il loro lavoro. Serve per realizzare una proposta che sia davvero cucita addosso alle esigenze della testata. Il tema, tuttavia, non si esaurisce qui.

Oggi il panorama editoriale è molto ricco e articolato. Ci sono sempre le grandi testate, spesso le più ambite. A queste si aggiungono numerosi esperimenti più piccoli, ma altrettanto solidi, e proprio per questo desiderosi di ritagliarsi uno spazio e alla ricerca di nuovi contributi. Dunque, suggerire di rivolgersi alle riviste di cui si è lettori e basta non può che essere limitante.

Tenere traccia

Avevamo già suggerito di organizzare al meglio il lavoro in vista di questo step. Zinna, ad esempio, spiega: «Di solito parto da un Google Sheet che contiene una lista di pubblicazioni divise per categoria, che aggiorno continuamente». Trattasi di un lavoro lungo e di precisione, ma che vale la pena fare. Poi, aggiunge: «Contatto prima quelle che leggo regolarmente e con cui mi piacerebbe collaborare e se queste non rispondono – come avviene nella maggior parte dei casi – passo alle altre»

Anche Perrone ha stilato un elenco di riviste e di editor con cui gli piacerebbe lavorare, ma, precisa: «quasi sempre la destinazione delle mie proposte dipende dalla storia che penso di fare. Quindi mentre progetto la storia mi faccio già qualche idea su chi potrebbe essere interessato a pubblicarla». Ad esempio: «Ci sono testate che magari pubblicano di più sull’ambiente; altre sono più interessate a storie di human interest; altre all’evoluzione del giornalismo, e così via. Quindi se tra le mani ho una storia che “chiama” più un certo tipo di outlet, vado con quello». 

Fuori dalla bolla

Lo Nostro tocca un altro punto interessante quando afferma: «Ridurre la propria bolla a una cerchia ristretta di collaborazioni può essere limitante. Numerose sono infatti le testate che trattano, ad esempio, di moda, musica, cultura o più in generale di attualità che hanno però carenze nelle sezioni di politica ed esteri, principalmente perché non è il loro target, ma soprattutto a causa della bassa propensione degli articolisti a inviare le loro proposte». Individuare i potenziali vuoti di una pubblicazione può rivelarsi una buona soluzione per farsi strada.

Presentarsi a nuove redazioni è anche un buon modo per misurare la propria appetibilità nel corso del tempo e tenersi al passo con il mercato del lavoro in rapida evoluzione. Poletti segue questo approccio. «Tendenzialmente ci sono collaborazioni che funzionano, e quindi provo a portarle avanti, ma cerco comunque sempre di aprirmi le porte di nuove redazioni provando a variare», afferma. Mantenere una rete di contatti stabile è sì fondamentale per avere un flusso di lavoro e di entrate – si spera – costante, ma guardarsi intorno serve per non adagiarsi sugli allori. E aprirsi a nuovi orizzonti.

Dimmi per chi scrivi e ti dirò chi sei (e quanto vali)

Anche il prestigio della pubblicazione è un elemento da non trascurare. Certo, difficilmente potrete puntare subito alle riviste più note e ambite, a meno che non abbiate tra le mani una storia importante. Serve aggiungere un tassello alla volta alla vostra carriera con perseveranza. Ciò non significa che per la sua nicchia anche una piccola rivista non possa essere molto rilevante e quindi dice bene Zinna quando afferma: «Nessun pitch è fine a se stesso: considero anche quanto una rivista possa aggiungere valore al mio portfolio (e quindi aprire le porte a lavori futuri)».

Dotti è della stessa idea: «Credo sia importante non solo che la redazione scelga le proposte e i giornalisti con cui lavorare, ma anche che il giornalista stesso sia ‘selettivo’ nei confronti delle testate». Quando dovrete decidere a chi mandare il vostro pitch, non vi potrete basare solo sull’affinità percepita, ma anche su quelle che sempre Dotti ha definito «qualità editoriale e di ‘reputazione’». Insomma, anche qui vale la regola del pochi, ma buoni. Pochi pitch ben piazzati valgono più di molti articoli pubblicati in contesti di scarso valore

Come presentare la proposta di un contenuto (articolo, video, podcast)

Quando si decide di mandare la fatidica mail con la propria proposta le parole d’ordine sono sintesi e personalizzazione. A questo serve studiare fino conoscere la testata nel dettaglio. Se è vero che, come dice Mastronicola: «Non ci sono formule magiche per attirare l’attenzione […] bisogna essere bravi nell’intercettare gli interessi della testata in questione per poter modellare la proposta sullo stile dell’interlocutore»

Lo Nostro è d’accordo: «Il pitch va pensato, scritto e mandato su misura», per questo ribadisce «L’importanza della conoscenza pregressa della testata, perché oltre a denotare un certo interesse e una certa motivazione, può convincere la persona che si prende in carico la tua collaborazione di avere a che fare con un collaboratore costante e affidabile». La motivazione conta molto: dovete convincere chi vi legge che solo voi siete quelli giusti per scrivere della storia che avete in mente.

Back to basic

Dunque, se non esiste una formula standard, che fare? Forse proprio per questo proporre un pezzo fa tanta paura agli inizi, ma non significa non ci siano delle strade migliori da seguire. I giornalisti intervistati mi hanno aiutata a trovare quali. Perrone, ad esempio, sostiene di partire sempre con una breve presentazione. Il seguito «dipende molto (…) dal tipo di storia e dove la sto proponendo». Difficilmente una proposta sarà valida per tutte le testate che trattano lo stesso tema. 

Quando sottolineo l’importanza di personalizzare la proposta è perché sempre Perrone ha condiviso un esempio molto concreto: «Se è un giornale, cerco di tenere la proposta molto breve – poche frasi – visto che i ritmi sono intensi e gli editor sempre molto occupati. Non oltre le 300 parole. Quindi non c’è spazio per dettagli o per dilungarsi molto. Se invece sto proponendo un articolo lungo a una rivista allora invio una proposta un po’ più lunga in cui cerco di far vedere come scrivo e di convincere chi legge che sono in grado di scrivere l’articolo che propongo».

Sì, ma alla fine che scrivo?

La sindrome da pagina bianca si palesa anche quando si tratta di mettere insieme poche righe: è un dato di fatto. Il rischio è di rimandare all’infinito l’invio di una mail che potrebbe essere quella giusta per muovere i primi passi come aspiranti freelance. Una dritta semplice quanto efficace, in questo senso, arriva da Zinna: «Di solito provo a riassumere l’idea in un paragrafo singolo, presentando subito le cinque W: “Who,” “What,” “When,” “Where,” e “Why”. Dopo aver descritto l’idea, riassumo in due o tre righe chi sono includendo riferimenti ai miei lavori precedenti».

Rispondete alle cinque domande, che sia su un foglio di brutta, nella vostra testa, parlando ad alta voce tra voi e metà del lavoro sarà fatto. Scrivete il tutto, riassumetelo il più possibile, sistematelo e premete su ‘INVIA’. E buona fortuna!

Approfondimento 2. Trucchi del mestiere per catturare l’attenzione

Se è vero che non esistono formule magiche, alcune dritte per fare centro un po’ più spesso sono:

  • cercare un legame con l’attualità: per Zinna «La cosa che aiuta di più è l’attualità di un argomento. Spesso la qualità non basta e giustificare perché è importante pubblicare un articolo oggi può fare la differenza. Non occupandomi di notizie questo non è sempre possibile (e non è sempre richiesto), ma se posso cerco sempre di trovare un collegamento col presente. Si può trattare di un anniversario importante o di una situazione odierna che rispecchia il passato, ad esempio».
  • specializzarsi su un tema: Poletti sostiene: «Penso che la chiave sia specializzarsi su una zona/tema, focalizzandosi su lavori diversi ma coerenti, in modo da potersi presentare come “il giornalista che fa quello” e soprattutto sentirsi legittimato a trattare un tema». 

Come gestire i rifiuti e cosa fare dei feedback

Impossibile addolcire la pillola sul tema rifiuti: arrivano e in gran quantità. A prepararvi a cosa vi spetta, numeri alla mano, ci ha pensato Perrone, il quale ha un foglio su Excel in cui tiene traccia delle proposte inviate. «Nel 2020 ho ricevuto circa 60 tra rifiuti e nessuna risposta – più di uno a settimana e a volte diversi nella stessa settimana – mentre non penso di aver piazzato più di 20 proposte». Tosta, non c’è che dire. Le conseguenze sul morale metterebbero alla prova chiunque, serve capire come gestirle e assorbire il colpo.

Ci vuole un’autostima bestiale

Parafrasando il titolo di una famosa canzone è vero: ci vuole un’autostima bestiale per tentare una carriera come giornalisti. Tutti gli intervistati mi hanno raccontato di un inizio difficile. Sempre Perrone ricorda bene il primo periodo del suo percorso professionale, dove gestire i rifiuti è stata una delle prove più ardue. «Ne risentivo a livello economico», mi ha raccontato, «ma anche a livello personale la mia autostima ne risentiva tanto. Ho avuto dei periodi difficoltà a livello psicologico». Tra gli aspetti peggiori fanno capolino «Le mancate risposte (…) perché ti lasciano appeso, lasciano spazio a una persona insicura per farsi mille domande, e nulla di tutto ciò fa bene».

Vale lo stesso per Mastronicola, per la quale i rifiuti sono il prezzo da pagare quando si sceglie una carriera quasi da acrobata come quella del freelance, ma resta un prezzo altissimo quando di mezzo ci sono le proprie idee. Oltre che la propria stabilità economica. Ha inoltre aggiunto: «Il rifiuto sarà silente e dentro quel silenzio si cela la sconfitta del giornalismo: nessun feedback, nessuna spiegazione, nessuna possibilità di crescita di alcun tipo. Solo un “no” nei fatti”». Per Čizmić questo tema entra nel vivo del «[…] rapporto tra editor e freelance: se non c’è comunicazione e dialogo, non c’è miglioramento e il risultato finale ne risente». Quando di recente ha richiesto un feedback l’ha ottenuto, cogliendo l’occasione di ragionare sui suoi errori: un passaggio inevitabile per chiunque desideri migliorarsi. Non sempre è così, anzi, quasi mai.

Pochi feedback

I feedback, avrete intuito, sono merce rara in questo settore. Serve farne tesoro quando arrivano e se, ovviamente, sono di natura costruttiva. Oliveri spiega «Capita spesso di avere feedback sterili, senza un suggerimento costruttivo, ma mi è capitato anche di avere davanti qualcuno che mi abbia spiegato bene cosa stavo sbagliando. In generale secondo me è giusto appuntarsi sempre tutte le idee, magari una proposta non va bene oggi ma dopo qualche mese sì».

Zinna invece mi ha spiegato: «Se ricevo feedback di solito è sui pezzi accettati, dove magari piace l’idea ma sono necessarie modifiche al testo perché sia in linea con la pubblicazione». Ed è qui che viene il bello: «Dal processo di editing si imparano molte cose e per quanto, a volte, possa risultare frustrante, nella mia esperienza ha sempre reso il testo migliore. In generale bisogna mettere da parte l’ego, scrivere è un atto collaborativo nella maggior parte dei casi». Ricapitolando, in linea generale è molto difficile ricevere pareri su un pezzo che la rivista non ha intenzione di pubblicare, quindi serve partire mettendosi l’animo in pace. Chiedere un riscontro infine non costa nulla, se avrete fortuna riceverete una risposta che vi aiuterà a migliorare la proposta successiva e così via.

Indossa l’armatura

Alla fine serve mettere le cose in prospettiva, al di là delle cose che non vanno o potrebbero essere gestite meglio. Per Dotti prima di tutto «il rifiuto non è della persona che l’ha fatta, bensì del contenuto della proposta stessa». Non è poco dal momento che si tratta delle proprie idee, certo. La stessa Mastronicola suggerisce come serva «[…] la lucidità di comprendere che il mercato del lavoro non è plasmato sulle nostre idee (…), né sulle nostre idee di giornalismo. Questo significa che i “no” che riceviamo spesso non sono bocciature di idee che possono essere geniali e originali, ma sono figli di un mercato che pretende altro». Da questo deriva la necessità di conoscere il mercato nel quale vorreste lavorare per trovare la soluzione più adatta. 

Anche Perrone ha imparato, col tempo, a prenderla meno sul personale e ricorda «gli editor sono persone impegnate che fanno un lavoro difficile e possono rifiutare un pezzo per decine di motivi diversi». Tra le ragioni vale la pena ricordare quelle «(…) di budget, perché hanno già commissionato una storia simile, perché non rientra nei loro interessi, perché hanno esaurito lo spazio e il tempo per poter commissionare e correggere un’altra storia». Per Zinna, infine, il rifiuto fa parte dei giochi e trova uno stimolo in più proprio nel fatto che sia difficile riuscire. 

Cosa dire della propria esperienza lavorativa (e cosa fare se non ne hai)

Ho fatto questa domanda condizionata da qualche anno alle spalle passato aggiornando il Curriculum, candidandomi a svariate posizioni di lavoro e presentandomi ai colloqui quando avevo fortuna. Ho provato a immaginare come sia questo passaggio per un aspirante giornalista freelance e non è stato facile. Eppure, nonostante il percorso scelto, alcune di queste domande sono ricorrenti tra tutti i giovani in entrata nel mercato del lavoro. Per fortuna il tema si è allargato in modo naturale fino a trattare quello più ampio della presentazione di sé. C’è un vuoto enorme da colmare quando si affronta questo passaggio, ma soprattutto tanta insicurezza.

Prima di tutto, cosa si intende con presentazione? L’ho già scritto: deve essere un’istantanea di voi in quel preciso momento della vostra vita professionale. Basterebbe dire in poche righe di cosa vi occupate, indicando i vostri precedenti lavori: sarebbe il miglior modo di dimostrare le vostre competenze. Ma tutto questo quanto è veramente rilevante per un aspirante freelance?

Presentarsi, sì o no?

Non tutti si presentano. O meglio, tutti scrivono almeno chi sono e cosa fanno in una riga. Esempio: «Sono X, giornalista freelance che tratta di Y». Altri spendono qualche parola in più per dire per chi hanno lavorato inserendo dei link in uscita ai lavori più pertinenti. C’è chi si presenta in apertura alla mail e chi in chiusura. A nessuno viene chiesto di raccontare del proprio percorso professionale come se fossero a un colloquio. Tutti sono d’accordo su una cosa: solo la proposta conta veramente. Il resto non sono chiacchiere, ma poco ci manca.

Dedicare qualche riga in più alla presentazione è una buona idea se è la prima volta che contattate una rivista. «Se è la prima volta che contatto una testata sì, allego i lavori che reputo più riusciti o quelli che potrebbero essere maggiormente vicini alla linea editoriale della testata in questione», suggerisce Čizmić. Non dovrete mettere tutti i pezzi scritti fino a quel momento, ma solo quelli da voi individuati come più rilevanti. Perrone, ad esempio, cerca «[…] sempre di allegare tre link agli ultimi pezzi che ho scritto – o quelli che mi piacciono di più, o quelli più rilevanti per la storia che sto proponendo». 

Farsi trovare

Il fatto che sia il pitch a contare non significa che non dobbiate preparare il terreno a una ricerca più approfondita da parte di un editor curioso che non ha mai sentito parlare di voi. A questo scopo curare la propria presenza online è consigliabile in modo che tutte le informazioni utili siano comunque reperibili. Gli spazi non mancano. Potreste cominciare dai vostri profili sui social, o, addirittura, aprire un vostro sito Web.

Ne è convinto Dotti «[…] la proposta di un articolo non è un colloquio di lavoro, non è necessario mostrare un portfolio. Credo possa aiutare molto essere ‘trovabili’ con una ricerca online o sui social, perché se si tratta di un primo contatto è probabile che qualcuno farà una ricerca su di te». È infine del tutto normale che «Meno si è conosciuti, meno si è presenti online, più è importante presentare una proposta forte e convincente».

Come fare esperienza se non hai esperienza

La domanda delle domande dunque non può che essere questa: come fare esperienza quando non si ha esperienza? Ce lo siamo chiesti tutti davanti a qualche annuncio alla ricerca di stagisti con le competenze di un dirigente fatto e finito. Ribadisco, per tranquillizzare tutti: è la proposta che conta, ma, in questo caso, serve fare qualche sforzo in più per cominciare.

Mastronicola avverte: «Nel caso in cui si fosse alle primissime esperienze, quello che posso consigliare è di rendersi disponibili a un qualsiasi tipo di prova che metta in risalto le capacità del giornalista […]». Zinna aveva optato per questa soluzione agli inizi della sua carriera, allegando già il pezzo completo come prova di scrittura e suggerisce di fare altrettanto. «In mancanza di un portfolio, consiglierei di inviare articoli già completi con una mail di presentazione convincente che contestualizzi l’idea e magari il percorso che ha portato a studiare un determinato argomento». Esistono poi apposite piattaforme per freelancer come UpWork e ne consiglia la consultazione per trovare proposte con cui arricchire il proprio portfolio. 

Approfondimento 3. Come fare esperienza se non hai esperienza: dovresti aprire un blog?

Aprire un blog è un’ottima idea per esercitare la scrittura e dimostrare che sapete padroneggiare un dato argomento. Ne suggeriscono l’uso Mastronicola e Oliveri. Lavorare a un blog non significa solo scriverci sopra quando l’ispirazione bussa alla porta, ma ragionare sulla pianificazione e sulla tipologia di contenuti da pubblicare. Vi ricordate di Zinna che suggeriva di trovare spunti con l’attualità? Ecco, questo può essere senz’altro un criterio per imbastire un calendario editoriale.

Potreste usare Medium se il vostro obiettivo è solo scrivere senza complicazioni. Non è tutto. Dato che vengono sempre più richieste competenze trasversali nel mondo del lavoro, avere un proprio blog vi permetterà di acquisire – a patto che le studiate, ovvio – altre competenze, sufficienti già a livello base per fare un’ottima figura:

  • SEO: la SEO è tante cose, tra cui un vero e proprio strumento relazionale. Saper fare una ricerca in questo senso può suggerirvi argomenti interessanti da trattare;
  • HTML, CSS: con un sito tra le mani prima o poi vi servirà scrivere mezza riga di codice ed è sempre una bella carta da sfoderare dal proprio mazzo. No, non sono linguaggi di programmazione e sono facili facili da imparare, promesso;
  • Grafica: sempre sia lodato Canva e i suoi modelli predefiniti. Abbinato a Pinterest, tramite il quale faccio ricerca visiva e alleno il mio occhio da profana (ho un profilo che curo in modo maniacale), tutti noi della redazione facciamo cerchiamo di imparare via via le soluzioni migliori.

Quanto può guadagnare un giornalista freelance?

Avevo accennato all’inizio della guida che il lavoro del giornalista freelance è fatto di tanti elementi diversi tra loro. Tra questi ci sono anche gli altri lavori, spesso fondamentali per permettere al giornalista di mantenere una propria indipendenza economica. Difficilmente infatti incontrerete sul vostro percorso qualcuno che vive solo scrivendo pezzi in gran quantità e pagati generosamente. Per questo vale la pena iniziare a pensare fin da subito a come differenziare la vostra attività.

Per fortuna le competenze che si richiedono per fare questo mestiere sono molto versatili, per cui è frequente svolgere lavori in ambiti quali la comunicazione e l’editoria. Le ragioni sono ormai risapute, specialmente quando si parla del mercato italiano: un mercato saturo e che non paga. E se lo fa, spesso non è abbastanza. Anche all’estero la situazione non sempre è più rosea di come ci si aspetterebbe: la gavetta farcita di sacrifici è richiesta quasi ovunque, con le dovute eccezioni. Dentro e fuori dall’Italia.

Oltre i clichè

Quando Zinna parla del mercato italiano spazza via fin da subito l’ambiguità nella mia domanda. «Per quanto riguarda l’Italia non credo sia (un tema) spinoso, anzi, è abbastanza limpido: non ne vale la pena. A chiunque decida di avvicinarsi al giornalismo da freelancer, consiglio di farlo con un piano B in mente. Non conosco nessuno con un affitto da pagare che lo fa», mi spiega. Riferendosi all’estero ammorbidisce di poco i toni, ma la situazione non sembra essere confortante. «All’estero la situazione è poco migliore: ci sono testate che pagano bene, ma arrivarci è difficile e la competizione molto più alta. Journo Resources è un buon punto di partenza per capire quel che il mercato offre».  

È Perrone a darmi qualche informazione di contesto in più. «Qualche anno fa sono capitato sul sito del columnist del Guardian, George Monbiot, che ha anche una pagina dedicata a “career advice”. Fondamentalmente dice senza mezzi termini che il giornalismo non paga e almeno all’inizio bisogna essere preparati a essere molto poveri», quindi, un’altra volta, c’è da mettersi l’animo in pace ed essere ben consapevoli del percorso ricco di ostacoli che si para davanti a quasi tutti gli aspiranti giornalisti liberi professionisti. 

Scrivere in un’altra lingua

Seppur scrivere per un mercato estero non sia una passeggiata, apre senz’altro a possibilità più remunerative. Per Poletti «Saper sfruttare un’altra lingua è stata la (…) salvezza economicamente parlando, perché riesco a sopravvivere grazie ai lavori che pubblico in Francia». Addirittura spiega che pubblicare in italiano lo considera un plus rispetto al lavoro continuativo garantito da alcune collaborazioni ormai ben consolidate proprio in Francia.

Anche per Čizmić «Fare il giornalista freelance scrivendo in più lingue è sostenibile». Lo è anche per un motivo molto semplice: «Ti permette di proporre lo stesso articolo a più testate», e racconta: «Prendiamo l’esempio del mio ultimo lavoro: dopo la morte di Maradona sono andato 3 giorni a Napoli e ho proposto un reportage a testate di vari paesi in tre lingue differenti. In 3 giorni ho coperto le mie spese di 2 mesi».

Altri lavori

La maggior parte degli intervistati, come avrete intuito, svolgono anche altri lavori. Mi hanno colpita in particolare le esperienze di Oliveri e Poletti. Per Oliveri «Fare la freelance ha significato anche impegnarmi a trovare altre fonti di guadagno, sempre nel campo dell’editoria, che nonostante la precarietà mi hanno stimolato molto di più: non tornerei mai al lavoro d’ufficio».

E, a proposito della versatilità di alcune competenze, ha aggiunto: «Bisogna pensare che la scrittura, una volta acquisita una tecnica, può servire in tantissimi altri ambiti, dalla pubblicità al contenuto web». Sempre Oliveri, ad esempio, sta esplorando il mondo autoriale televisivo. Anche Poletti chiarisce che scrivere paga poco e suggerisce: «[…] bisogna concentrarsi su nuovi formati. Il video paga molto meglio, per esempio». Ibridare le vostre competenze è il primo modo per ampliare i servizi che potete offrire.

Forma di collaborazione e reddito da lavoro freelance AGCOM

Forma di collaborazione e reddito da lavoro freelance AGCOM

Lavorare gratis per fare esperienza: sì o no?

Quando ho posto la domanda pensavo ci fosse una sola risposta possibile: no. E dovrebbe essere sempre così. Del resto l’espressione “Lavorare gratis” è di per sé un ossimoro. La verità è che dipende. In un settore ostico come quello del giornalismo, ognuno fa le sue valutazioni strada facendo, talvolta cambiando idea. Non esiste perciò una scelta da condannare a priori, anche se è auspicabile fare sempre di più fronte comune attorno a questi temi. Poter contare su una buona stabilità economica deve essere  un obiettivo alla portata tutti, dove competenze e impegno non mancano.

A questo proposito, prima di cominciare, trovo importante imparare a fiutare le trappole dietro alcuni falsi miti. Ci sono fattori che hanno l’effetto di essere una forte leva per i giovanissimi a caccia di prime esperienze con cui arricchire curriculum e portfolio. Sì, sto parlando proprio di loro: visibilità e passione. Solo dopo aver risolto questo nodo, si potranno fare le proprie valutazioni con maggiore lucidità.

A me gli occhi

Il tema della visibilità è un altro tema enorme da trattare. È giusto ammettere che la visibilità paga, ma quale tipo di visibilità? Ci sono tante cose, anche piccole, che facciamo come investimento per il futuro, a maggior ragione sul lavoro, sperando ci tornino indietro in termini di paga e avanzamento di carriera. Alcuni di questi sforzi servono proprio per essere visti, riconosciuti, che sia dal capo o dai colleghi.

Tuttavia quando si parla di visibilità sul lavoro alle nuove leve ciò che si intende spesso è: «Mettiti lì a fare il cespuglio durante lo spettacolo di cui sono il protagonista, vedrai che prima o poi…», lasciando intendere una grande carriera futura. Sì, perché la visibilità mette in luce. Ciò che spera il cespuglio – aka l’aspirante giornalista – è di venire almeno colpito di riflesso e, chissà, ottenere un ruolo di maggiore prestigio, un giorno.

Ma quindi, quando e quanto paga questa visibilità? La gavetta è importante, è vero, ma c’è un limite. Quando vi sacrificate per un lavoro che non viene svilito, ma, anzi, viene riconosciuto e anche pagato come merita, guadagnerete di pari passo in autorevolezza. Raggiunto un certo livello avrete creato un circolo virtuoso importante per la salute delle vostre tasche. Oltre che della vostra salute mentale.

La passione non paga le bollette

Mi concedo una digressione personale. Sul tema sono diventata molto cinica dopo una pessima esperienza. C’è stato un momento nel mio percorso in cui la mia passione mi è stata sventolata in faccia come strumento di ricatto. Insomma, dovevo essere disposta al martirio per guadagnarmi, forse, un giorno, qualche briciola con cui sfamarmi. Ed esserne grata, ovvio. La verità è che non credevo in quel progetto al quale mi si chiedeva di lavorare fino allo sfinimento e di correre una maratona a digiuno non ne avevo voglia. Non credo di aver raccontato nulla di nuovo a chi si è già confrontato col mondo del lavoro, ma vale la pena chiarire alcuni punti.

La passione è importante: è quella che rende anche la parte più noiosa e faticosa del proprio lavoro sopportabile. È una delle ragioni della nascita di tanti progetti autoprodotti (e grazie al cielo che esistono). Si cerca uno spazio lontano dalle logiche dominanti attraverso il quale tastare il terreno, sperimentare, mettersi alla prova. Ma non solo: è il modo in cui tanti tra noi si stanno ritagliando il proprio spazio. Io ho trovato questo spazio qui, su Giornalisti al microfono, e tanti altri progetti bellissimi nascono ogni giorno sulla scia della stessa esigenza.

Tutto questo per dirvi che la passione mai deve diventare un’arma nelle mani di chi desidera solo spremervi fino all’ultima goccia, senza avere davvero a cuore la vostra crescita personale e professionale. Usate la vostra passione per la forza che vi dà di andare oltre le difficoltà del caso, perché vi sprona. E difendetela o potrebbe diventare una zavorra.

Le ragioni del no

È stato Perrone a perorare la causa del no con maggiore fermezza, ma articolando le sue ragioni senza trascurare quelle degli altri, con lucidità, mettendosi nei loro panni. Mi ha raccontato di aver scritto due pezzi senza venire retribuito al termine del suo master, un’esperienza definita svilente e dove non gli è tornato indietro nulla: nemmeno la sopracitata visibilità. Ha toccato tutti i punti interessanti che proverò a riassumere sul perché rifiutarsi di lavorare a titolo gratuito:

  • il danno individuale: la ricerca di visibilità rischia di avere l’effetto contrario in termini di professionalità. Cercavo di acquisire esperienza professionale ma paradossalmente non essere stato pagato ha creato l’effetto opposto – l’impressione in me stesso e negli altri che quello che facevo non avesse niente professionale», mi ha raccontato. Sollevando il tema della percezione di sé e del proprio lavoro conta molto per una categoria, quella dei freelance, che, senza alcuna sicurezza, deve giocarsi il tutto per tutto per avere delle entrate. Serve tenere alta l’autostima e avere l’impressione di giocare a fare il giornalista non aiuta di certo.
  • il danno collettivo: «Da un punto di vista pratico, una persona che scrive gratis fa un danno a tutta una categoria perché abbassa gli standard per tutti», ha aggiunto. Trattasi di un dato di fatto ineludibile, nonché uno dei principali cavalli di battaglia dei sostenitori del no all’interno di questo dibattito.

La domanda da porsi

Ci sono tanti aspetti da valutare. A questo scopo lascio ancora la parola a Perrone perché li ha riassunti tutti in questa lunga risposta. «Proporrei però a chi sta pensando di scrivere gratis di valutare se ne vale la pena. Chi non paga raramente gode una gran reputazione presso le persone che potrebbero darvi un lavoro in futuro. L’esperienza vi dà abbastanza in termini di esposizione, contatti o altro? Se pensate di sì, allora forse per un breve periodo può essere accettabile. Ma cercate sempre le testate che potrebbero dare spazio a chi è all’inizio – un po’ ce ne sono – e pubblicare un articolo lì probabilmente farebbe meglio alla vostra carriera di cento articoli scritti gratuitamente». Lo ribadisco, nel caso non fosse ancora chiaro: meglio un articolo pubblicato su una sola rivista seria e rispettosa dei suoi collaboratori, che cento pubblicati in contesti di poco valore.

Quando, e se, dire sì?

Chiarito che visibilità e passione sono falsi miti dai quali difendersi e espresse le ragioni del no, capita comunque l’occasione in cui ci si sente di dire di sì a una richiesta di lavoro non retribuito. A tutti gli intervistati è capitato e capita ancora. Il più delle volte la ragione è la più semplice da immaginare: è inevitabile e su questo non mi sento di dilungarmi oltre. C’è un motivo se si parla di un settore in crisi e con lampanti problemi quando si tratta dei nuovi modelli di business da adottare. Se di base sarebbe auspicabile farsi pagare sempre, è utile ragionare sulle possibili eccezioni:

  • la sempreverde passione: quando si investe la propria passione in modo genuino sfruttando gli spazi offerti dalla Rete, cercando la propria nicchia, mi sento di dire che è un buon motivo per sacrificarsi. Almeno un pochino. Altri sono d’accordo con me in questo caso. Lo Nostro mi ha raccontato del suo podcast: un’autoproduzione amatoriale, per cui, a suo dire, vale la pena investire tempo ed energie, anche se, suggerisce, non sul lungo periodo. Anche per Oliveri «Lavorare gratis ha senso solo se si è in un contesto di coetanei: se sei molto giovane, ancora studente, e vuoi cominciare, ha senso farlo (…) in un giornale universitario per esempio, a una radio in streaming con amici, a un podcast tra colleghi», ed è così che ha cominciato;
  • crearsi una rete: Dotti riconosce che lavorare gratuitamente «abbia senso se è un’occasione non tanto di visibilità, ma per conoscere nuove persone, avvicinarsi a una realtà». Anche se si tratta di «un argomento su cui si ha piacere di lavorare» è possibile fare eccezioni. Zinna aggiunge «se si tratta di operazioni commerciali, accetto di lavorare gratis solo se penso che associare il mio nome a una testata possa portare un vantaggio futuro». 

Perché si dice sì per davvero

Viste tutte le eccezioni legittime serve chiarire un cosa: tutti noi vorremmo lavorare sempre dietro compenso. Mastronicola ha spiegato bene perché, in realtà, si accetta. «Perché bisogna campare, in qualche modo», afferma, «perché la visibilità – soprattutto in una prima fase – è importante per potersi permettere di dire dei “no” in futuro; perché ho venduto al miglior offerente qualcosa che volevo venisse fuori. Lavorare gratis è sempre la peggior risposta alla crescita dell’informazione: è un circolo vizioso che va interrotto. Non c’è mai una buona occasione per lavorare gratis. Quello è un’altra cosa, si chiama volontariato e lo facciamo fuori dal lavoro. Magari mettendo a disposizione le nostre competenze».

Approfondimento 4. Dire di sì: istruzioni per l’uso

Onde evitare tragedie inaspettate, ecco un paio di suggerimenti semplici, ma utili per non ricevere brutte sorprese quando si decide di lavorare senza compenso:

  • concordate a priori la gratuità del lavoro, come suggerisce Dotti: “Chiedere gentilmente delucidazione sul compenso prima di iniziare a lavorare è sempre legittimo, e anche segno di professionalità da parte di entrambe le parti.”
  • calibrate gli sforzi, non vorrete mica dedicare settimane di duro lavoro per nulla? Trovate un compromesso. Non potete regalare o vendere a poco prezzo una lunga inchiesta per Poletti: svalutare in modo tanto drastico simili lavori è controproducente. Tradurre un pezzo già scritto invece potrebbe valere la pena per farsi notare in un mercato sul quale si punta da tempo, secondo Zinna.

Come diventare giornalista freelance (e proporre un articolo) finisce qui

Come diventare giornalista freelance (e proporre un articolo) è stato un lavoro lungo, durato qualche settimana, le cui interviste risalgono a qualche tempo prima. Ho passato molto tempo prima di decidermi a scriverne: i racconti e i suggerimenti ricevuti meritavano il meglio della cura da parte mia.

Proporre un articolo a una rivista è un tema che, possiamo dirlo, come redazione, abbiamo sviscerato fino in fondo. C’è ancora molto da dire su aspetti legati alla quotidianità o alla gestione economica della vita di un giornalista freelance. Lo faremo senz’altro, ma per chiunque volesse tentare di mettere insieme due righe in una mail e presentare la propria proposta speriamo che le due guide scritte fin’ora possano fare la differenza o anche solo darvi un po’ di coraggio.

Siamo curiosi di conoscere la vostra storia, se ne avete una, o di conoscere i dubbi che ancora non abbiamo risolto e per cui vorresti un parere. Trovi i nostri contatti di redazione e personali nel box a fondo pagina.

Per scrivere ‘Come diventare giornalista freelance (e pubblicare un pezzo su una rivista)’, abbiamo intervistato:

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